Capire l'adolescente

Neuropsichiatria e psicoterapia in un servizio pubblico per adolescenti.

Patrizia Conti, Maria Laura Zuccarino, Antonio Santoro

 Nell’ adolescenza è la capacità o meno di sciogliere e riallacciare legami (gli stessi o altri,  dello stesso tipo o di tipo diverso) che  permette di vedere chiaro nelle varie forme psicopatologiche e nelle conseguenze che esse potranno avere sull’organizzazione mentale ulteriore.

(R. Cahn, 2000)

 

  1. Il dispositivo transculturale di gruppo

 

Dal 2009 nasce l’esigenza di offrire uno spazio di intervento per una fascia d’utenza specifica: molte richieste giungevano dalla scuola; in particolare per i ragazzi delle scuole medie inferiori spesso la richiesta di intervento riguardava situazioni miste in cui le problematiche di apprendimento erano spesso sfumate e condizionate da disfunzioni comportamentali. Molto spesso le problematiche erano riscontrate a scuola e le famiglie giungevano al servizio poco consapevoli del bisogno ma con la volontà di favorire l’integrazione sociale del figlio. Si pensò dunque ad utilizzare un setting di gruppo con una duplice funzione:

  1. costituire uno spazio osservativo privilegiato.
  2. fornire un contesto di riorganizzazione delle competenze sociali.

1.1. La casistica.

 

Tutti i partecipanti hanno avuto un accesso in prima visita presso una sede UONPIA territoriale; tutti i partecipanti sono migranti di prima o seconda generazione, anche di coppia mista; non sono inclusi i casi di adozione. L’età dei partecipanti rientra orientativamente nell’arco della frequenza delle scuole medie. La presenza di disturbi del comportamento è prevalentemente su base adattiva. Priorità è data alla presenza di difficoltà di socializzazione, sia in senso di una tendenza all’isolamento che a forme di socialità dirompenti. Non sono incluse situazioni con  patologie stabilizzate – in particolare: significativo ritardo mentale, disturbi dello spettro autistico, ecc. – per le quali cioè non sia preponderante l’insorgenza di un disturbo di adattamento. La composizione del gruppo è il più possibile eterogenea per genere e per tipo di socialità.

1.2. Strutturazione del setting.

 

Rispetto alle esperienze precedentemente descritte (__) si è provato a sperimentare una formula si intervento che, pur in continuità con gli anni precedenti e con le teorizzazioni di base sia in campo trans culturale () che di intervento psicoterapico di gruppo (), fosse  per alcuni aspetti ‘pensata’ specificamente in base al contesto di riferimento () e le finalità che l’utenza e il Servizio stesso hanno negli anni mostrato di condividere.

La dimensione spazio temporale è stata pensata per rispondere ad esigenze di tipo clinico con una particolare attenzione al target di ragazzi coinvolti. Abbiamo pensato di avere di fronte grandi obiettivi ma piccoli pazienti; piccoli dal punto di vista della possibilità di investimento di tempo concreto e di tenuta nel tempo dell’esperienza emotiva; abbiamo sposato la teoria della “dose minima efficace” nella speranza di ridurre al minimo i drop-out e non interferire con il delicato processo di adattamento sociale; un setting ‘discreto’ evita un investimento eccessivo su luoghi e relazioni esterni all’ambiente di vita. Altro principio ispiratore è stato il principio del similia similibus curantur: l’idea è di aiutare questi ragazzi a promuovere piccoli processi d’integrazione di quegli elementi che sono alla base del processo di adattamento al nuovo contesto di vita, in modo da preservare e valorizzare al tempo stesso il valore della unicità dell’identità di ognuno. A tal proposito faccio riferimento a un’organizzazione dell’intervento semplice e fruibile. Dalla definizione dei riferimenti temporali e spaziali. L’orario delle sedute in una fascia oraria

Per poter essere liberi di esprimere pienamente se stessi, abbiamo ritenuto importante aiutare a riappropriarsi di una capacità di gestione della relazione in cui la separazione possa essere un evento integrato; l’obiettivo è di far sperimentare forme di relazione e di separazione accettabili, cui i ragazzi possano dare un significato evolutivo per la loro crescita.

Oltre al processo di separazione, in questi ragazzi è importante fare in modo che il rapporto con i nuovi garanti meta-sociali (Kaës, 2007), lasci un’esperienza possibile, ma al tempo stesso non totalizzante, foriera di una maggiore disponibilità a successivi interessi e investimenti nel tessuto sociale. L’esperienza di gruppo deve avere una funzione vettrice, una forma di relazione con l’istituzione che aiuti a ‘sanare’ il rischio di disinvestimento sulla scuola, che rappresenta il principale garante meta-sociale con cui i ragazzi si misurano.

Ancora più interessante appare il lavorare sulla posizione assunta dai ragazzi. Molto spesso si assiste ad una forma di ‘identificazione con l’aggressore’: tanto più l’esperienza di separazione dal contesto di filiazione è stata traumatica, tanto più il ragazzo tende a rappresentare una relazione in cui è lui a voler controllare e a tenere in scacco il gioco terapeutico; il controtransfert è traducibile in alcune di quelle frasi che spesso ci troviamo a pensare fra colleghi: “sembra che sia lui a farci un favore a venire” e altre simili.

La nostra capacità di sopravvivere a queste resistenze e di restituire una relazione che sappia guidare questo processo di appropriazione della relazione senza derive verso eccessi onnipotenti e potenzialmente sado-masochistici, all’interno di un’esperienza appositamente dimensionata, ha consentito l’acquisizione di maggiori competenze relazionali e comportamentali soprattutto nelle situazioni in campo sociale (scuola in primis) modello cui il gruppo si è ispirato per le caratteristiche di ciclicità,  doppio asse di distribuzione delle relazioni (orizzontale e verticale), eterogeneità culturale dei partecipanti.   

Le caratteristiche architettoniche degli spazi hanno consentito di alternare con facilità attività al tavolo con attività di interazione in movimento. È stata inoltre molto utile la presenza di un ripostiglio e di ampi spazi espositivi dove poter vedere in itinere le produzioni creative.

Si è pensato sulla base di questi presupposti a cicli di dieci – quindici incontri a cadenza settimanale per una durata complessiva di due – tre mesi al massimo. Questa scelta è sembrata la più adatta per evitare un eccessivo carico emotivo e per lavorare sulla separazione. Pensiamo infatti che riprodurre la ciclicità di altre forme di interazione gruppale in forma ridotta e accelerata possa aiutare ad affrontare meglio il passaggio da un ciclo scolastico all’altro.

Quest’anno si è messa in pratica una riflessione maturata negli anni precedenti, ovvero mettere in primo piano il ruolo del mediatore culturale; entrambe le operatrici infatti affiancano alla caratteristica di essere anch’esse migranti (come i conduttori), il doppio ruolo di mediatrice culturale e di arte terapista.

Il ruolo del terapeuta e del co-terapeuta si è definito maggiormente con la rinuncia ad una funzione di controllo attivo del gruppo (maggiormente demandata alla figura dei mediatori culturali) e col focalizzarsi su funzioni di valutazione osservativa e trasformativa, attraverso una continua ridefinizione del setting (con riferimento in particolare alla continuità e qualità della partecipazione; alle dinamiche relazionali di gruppo).

Significativo in tal senso appare il percorso svolto da J. un ragazzo di 12 anni proveniente dall’Ecuador a seguito di ricongiungimento con la madre, in Italia da molti anni per motivi di lavoro e di marginalità sociale. La storia familiare risultava molto problematica per la presenza di una storia di abuso e maltrattamento trans generazionale. J. era vissuto con la nonna materna sino ai 10 anni in Ecuador e al suo arrivo non era ben nota l’entità degli eventi traumatici personali. Il disturbo del comportamento, caratterizzato da atteggiamenti provocatori e iperattività, lasciava presupporre una storia pregressa ricca di eventi stressogeni. All’interno del setting di gruppo il ragazzo ha riproposto alcune dinamiche che hanno meglio definito la natura del problema. Da un certo punto di vista, attraverso la proposizione di modelli identificativi molto occidentalizzati, cioè appartenenti alla cultura attuale, J. manifestava il proprio bisogno d’integrazione; accanto a ciò J. manifestava la sua irrequietezza destrutturando il setting o utilizzando le attività con maggiore attivazione corporea, tendendo a porsi nelle condizioni di essere vessato e sottomesso, in particolare da un compagno del gruppo che egli provocava con atteggiamenti da bullo. È importante sottolineare come J. soffrisse di una forma di ritardo dell’accrescimento da deficit di GH. Ciò enfatizza le spinte inconsce ad agire da bullo, pur non avendone le fattezze idonee. In effetti attraverso l’utilizzo delle attività semi strutturate si è assistito la trasformazione di questi agiti in dinamiche di interazione sociale più integrate e parallelamente nei colloqui trans culturali con la madre è stato possibile per il ragazzo ricordare e narrare le proprie gravi esperienze traumatiche vissute in Ecuador di abuso in cui si era sentito sopraffatto. Gradualmente la situazione si è evoluta positivamente; dopo il primo anno di presa in carico attraverso il dispositivo trans culturale è stato proseguito e potenziato un ingente lavoro di rete con la scuola e con la psichiatria adulti per la presa in carico della madre, ed è stato possibile attivare un progetto di interventi educativi a scuola e domiciliari come prosecuzione del progetto, mantenendo un monitoraggio ambulatoriale ma senza bisogno di ulteriori  percorsi psico terapeutici intensivi.